L’importanza di lasciar andare
Liberarsi dei pesi inutili per fare un bilancio “leggero”
di Alessandra Callegari
Sono passati vent’anni da quando ho scritto queste riflessioni sull’attaccamento alle cose e sull’importanza del lasciar andare. Occasione per rispolverarle e verificarne l’attualità, per me che nell’agosto 2024 compirò settant’anni.
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In questo periodo – è il marzo 2004, in agosto compirò cinquant’anni – sto vivendo, forse per la prima volta in vita mia, il desiderio di staccarmi da tutta una serie di cose che invece per anni sono state importanti e alle quali sono stata ‘attaccata’. Mi riferisco soprattutto a scritti: articoli, lettere, ritagli, riviste, libri e fotografie.
Non so se avere cinquant’anni e aver colto una sorta di ‘discrimine’ nella mia vita – il passaggio da un periodo a un altro dell’esistenza – abbia influito su questa voglia di distacco, quasi fosse una sorta di liberazione, di alleggerimento da un peso.
Il peso del passato? Il peso dell’ingombro – in senso anche fisico, spaziale, visto che in casa libri e riviste occupano parecchi metri cubi? Il peso della memoria?
Difficile distinguere. Quel che è certo, è che mai come oggi mi sembra vero che “ciò che non è a portata di mano, o comunque non è disponibile, è come se non ci fosse”. E nella quantità di carta in effetti molte cose – che nelle intenzioni avrebbero dovuto essere catalogate e disponili all’occasione – sono irreperibili. Come perse, dunque. E allora perchè tenerle?
Ho colto in questo mio antico attaccamento qualcosa di patologico, di morboso.
E ho cominciato a… buttare via. Separarmi in alcuni casi è stato difficile. Perché nel buttar via ho riguardato ogni foglio, ogni album, ogni rivista, quasi cercando ogni volta di recuperare il senso per cui era stata tenuta da parte e messa via prima di diventare un elemento indistinto di un accumulo cartaceo ormai privo di forma.
Mi sono accorta con un certo sollievo di quanto la ‘passione’ di un tempo sia svanita, tranne forse per pochi casi. E di quanto oggi prevalga il senso di liberazione e leggerezza.
Anche perché – l’ho capito con chiarezza solo ora – ciò che ricordo rimane comunque. E ciò che non ricorderei se non attraverso quelle righe o quell’immagine… era già andato perduto, se n’era andato via dalla memoria evidentemente perché privo di sufficiente valore. O perché era stato funzionale rimuoverlo. E allora perché volerlo far rivivere?
E così ho cominciato a eliminare senza più riguardare, provando un senso anche fisico di ‘irrimediabilità’, un misto di piacere e di sofferenza. La consapevolezza di eliminare anche l’ultima possibilità di ricordare – se non, appunto, per un ricordo spontaneo, non legato a un oggetto – episodi o luoghi o persone della mia vita mi ha fatto sentire profondamente quanto questo tema – l’attaccamento – sia legato a quello della separazione e quindi alla morte.
Sempre in questo periodo ho dovuto infatti anche eliminare cose – oggetti, scritti, lettere, fotografie – lasciate da una persona a me molto cara, un’amica da quasi trent’anni, morta a metà gennaio. L’ho fatto io perché lei mi aveva in qualche modo affidato questo compito. Ed è curioso come questo evento sia accaduto proprio in un momento della mia vita in cui ero già arrivata alla consapevolezza di quanto fosse inutile e insensato accumulare ‘cose’ e ricordi al di là del ricordo stesso che è solo dentro di me.
Ho immaginato cosa proverebbe qualcuno – un partner, un’amica? – se si ritrovasse, dopo la mia morte, a dover eliminare le mie ‘cose’, i miei ricordi, moltissimi dei quali legati, immagino, a ben prima che ci incontrassimo e quindi a lui o lei del tutto estranei. E ho sentito che sarebbe un’esperienza sgradevole, non confortante nel dolore della perdita. Ho provato un senso di fastidio, persino, all’idea di possibili ‘scoperte’ sulla mia storia, tali non per chissà quali misteri o consapevoli occultamenti, ma solo perché, di alcuni decenni di esistenza, non è mai capitato di parlare. E mi sono resa conto di come il ‘peso’, il valore oggettivo (o meglio, il valore per me) di episodi passati, di incontri lontani, di rapporti conclusi e forse persino dimenticati, potrebbe apparire falsato.
Per questo, ho deciso di eliminare proprio tutto. Anche quello che pensavo, in fondo, di tenere ancora, per una sorta di ‘autoconcessione’ infantile, come certi quaderni di scuola o certe fotografie della mia infanzia. Tutto sommato, non ho figli. Non ho da lasciare testimonianze ai nipotini perché vagheggino sulla nonna e sui tempi d’antan. E se io stessa ho lasciato in questi anni che su questi ‘cimeli’ si accumulasse tanta polvere, perché altri dovrebbero averne cura?