Nasceva la mia mamma
Racconto di una relazione tormentata
di Alessandra Callegari
Oggi, 95 anni fa, nasceva a Parigi la mia mamma, Marie Henriette Guida.
O meglio, era nata il 6 febbraio 1923, ma per qualche arcano caso venne registrata solo due giorni dopo, quando cadeva il compleanno della sua mamma, mia nonna Marguerite Coadic, che era nata a Rennes, in Bretagna, l’8 febbraio del 1892.
Ecco un paio di foto in cui sono insieme, a passeggio per Parigi e in casa, quando mia madre poteva avere circa 18 anni.
Mera distrazione o coincidenza voluta, ricordo che festeggiavamo sempre il bi-anniversario delle due mamme di casa in questa data, trascurando la realtà biologica in favore di quella anagrafica.
Dico “le due mamme di casa” perché mia nonna era venuta ad abitare fissa da noi, lasciando la Francia, fin da quando io ero piccola; e infatti sono cresciuta, io figlia unica, passando molto più tempo con lei che con i miei genitori. E a mia nonna devo la maggior parte dei miei ricordi belli d’infanzia, passata tutta a casa senza andare all’asilo, compreso l’aver imparato a leggere scrivere e far di conto con lei, ben prima di andare a scuola.
In un certo senso, dunque, penso a loro come alle mie due mamme. Una, quella vera, con cui ho avuto un rapporto complesso, complicato e conflittuale. L’altra, nota a tutti come Mamy (con l’accento sulla y, alla francese), sebbene più vecchia, per certi aspetti più vicina a me e di maggior sostegno, e a me, confesso, assai più cara.
In questa triade di donne figlie uniche (oltre a me, anche loro), mio padre si destreggiava come poteva, lui che di mia madre era marito ma che per età era molto più in sintonia con mia nonna, essendo nato, lui, nel 1901.
Mia madre era una donna bellissima. Capelli corvini lucenti, occhi neri profondissimi, un sorriso smagliante. Gli uomini impazzivano per lei.
Non è un caso che da giovane avesse calcato le scene, studiando al Vieux Colombier, un teatro che era nato nel 1913, creato da Jacques Copeau. Da lì il suo nome d’arte, Lena, che si poi tenuta per sempre, rinnegando quel “Maria Enrichetta” che detestava.
In una sequenza di foto, scattate in casa da mio nonno, è vestita da spagnola, in cinque espressioni diverse. E c’è tutta lei. Teatrale, seduttiva… ma anche piena di vita.
Non è un caso nemmeno che mio padre se ne fosse innamorato, dopo averla incontrata a Parigi nel 1949, grazie a un amico comune artista, Paolo Garretto, che lo aveva introdotto nella cerchia di mio nonno, piccolo editore, coltissimo, amico di letterati, artisti, poeti.
Lei, invece, credo sia sempre stata innamorata di suo padre: mio nonno Sandro Guida, napoletano, che purtroppo non ho mai conosciuto perché è morto nel 1952, due anni prima che io nascessi. Un uomo, a detta di tutti coloro che lo hanno conosciuto, meraviglioso.
Lo testimonia lo sguardo di mamma nella foto bellissima che ho davanti agli occhi ogni giorno perché la tengo nel mio studio, scattata nel 1950, quando i miei genitori erano sposati da poco. Seduta davanti a una finestra, con mio padre che la guarda con un’espressione tenerissima, e lei che sorride invece al fotografo, mio nonno. Difficile per lei liberarsi di quel continuo confronto…
Sempre in cerca dell’amore, la mamma, sempre affamata d’amore. Che sembrava non trovare mai, non solo in mio padre – che di fatto lei non ha mai amato – ma in tutti gli incontri successivi, che non riusciva a non condividere con me, nel suo bisogno disperato di riconoscimento e comprensione.
Tanto affascinante quanto infelice, non riusciva a trovare nemmeno in me, così diversa da lei, quell’amore assoluto, totalizzante, che per lei era l’unico senso della vita.
La nostra relazione madre-figlia è stata difficile e certamente ci ho messo anche il mio pezzo. Viverle accanto, con lei così fortemente coinvolta emotivamente, passionale al di là di ogni logica, estremamente richiedente e nel contempo straordinariamente generosa, mi ha messo duramente alla prova. Tanto quanto, lo so e l’ho sempre saputo, ho messo alla prova lei, che mi considerava un marziano.
Avessi conosciuto l’enneagramma da adolescente, sarebbe stato tutto molto chiaro. Mia madre era un 2 sessuale, mio padre un 5 conservativo: due galassie agli estremi confini dell’universo. E io, un 8 sociale posto esattamente tra loro.
Ma tra i miei 13 e 20 anni il gioco delle personalità e delle loro dinamiche nevrotiche non mi era affatto chiaro. Incomprensibili le reazioni di mia madre rispetto a certi eventi, insondabili i suoi abissi di angoscia e spiazzanti i suoi picchi di euforia. Amarla come avrebbe voluto mi era impossibile, mi sentivo risucchiare in quello che allora chiamavo buco nero. L’unica cosa che potevo fare, e che mi riusciva benissimo, era essere bravissima a scuola. Aspettando di spiccare il volo e di uscire da una famiglia in cui tutto si giocava sui non detti, su silenzi gravidi di sottintesi oppure su scoppi improvvisi di rabbia urlata a squarciagola.
L’amore, la mamma lo ha finalmente trovato quando ha incontrato Corrado, divenuto suo compagno nel 1973 e da lei sposato dieci anni più tardi, dopo la morte di mio padre. Con lui la mamma ha trascorso 32 anni, finalmente serena, credo, trovando un uomo che l’ha adorata, forse idolatrata, come lei voleva.
Tra noi non c’è stata quasi mai pace, se non negli ultimi anni, quando, invecchiata lei e avendo nel frattempo lavorato su di me io… l’ho potuta a poco a poco vedere con occhi nuovi e accettarla nella sua diversità.
Oggi, a distanza di quasi 13 anni dalla sua morte, guardo queste foto e mi intenerisco. E vedo anche, soprattutto in quelle in cui sorride o fa le smorfie divertita, lasciando andare le pose seduttive o teatrali, quanto le somiglio. E faccio pace con lei, come l’ho fatta con mio padre.